Rosalia Beatrice Scherzer nasce a Czernowitz nel 1901 in una famiglia ebraica medio-borghese. Ausländer, straniera, è il cognome del suo primo marito Ignaz Ausländer con cui lascia la Bucovina nell’aprile 1921 per emigrare negli Stati Uniti a causa della situazione di indigenza in cui era precipitata la sua famiglia dopo la norte del padre e la fine della Prima guerra mondiale. Il destino iscritto nel cognome acquisito, che diventa quasi uno pseudonimo, sigilla l’abbandono della sua terra e l’eco ...
Rosalia Beatrice Scherzer nasce a Czernowitz nel 1901 in una famiglia ebraica medio-borghese. Ausländer, straniera, è il cognome del suo primo marito Ignaz Ausländer con cui lascia la Bucovina nell’aprile 1921 per emigrare negli Stati Uniti a causa della situazione di indigenza in cui era precipitata la sua famiglia dopo la norte del padre e la fine della Prima guerra mondiale. Il destino iscritto nel cognome acquisito, che diventa quasi uno pseudonimo, sigilla l’abbandono della sua terra e l’eco della diaspora rimbomba nella firma di ogni sua poesia.
La Bucovina di Ausländer era un crogiolo di identità nazionali segnato da una consistente vivacità culturale e da uno straordinario multilinguismo. I confini invisibili della Mitteleuropa non potevano essere costretti nella definizione dello stato nazione, incompatibile con quel caleidoscopio di elementi eterogenei. Questa discrepanza tra identità, lingua e stato, sperimentata già in patria, così come le tensioni politiche, che hanno segnato tragicamente la storia del Novecento, hanno fatto sì che molti intellettuali mitteleuropei vivessero l’esilio come un destino condiviso e una condizione per nulla eccezionale. In questo senso Ausländer, la cui vita è segnata da una duplice o triplice appartenenza che si consolida nell’esilio dove affiora una idea utopica di lingua madre, appartiene totalmente a questo orizzonte spirituale.
In questo saggio intendo mettere in luce il nesso tra esilio e racconto negli scritti di Ausländer e la concezione diasporica della lingua che emerge dalla sua opera. La critica all’autoctonia non è solo un commiato triste alla terra, ma soprattutto la reinvenzione di una “patria filologica” declinata al femminile. La condanna della “parola della patria” [Vaterlandswort]4 diventa per Ausländer un’opportunità per ripensare l’erranza come una forma diversa di abitare la lingua, a cui affida un ruolo salvifico.
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